Sulle tracce del “Lupo Uno”: intervista ai registi Bruno Boz e Ivan Mazzon

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Immagine dal film Lupo Uno di Ivan Mazzon e Bruno Boz

Perseguitato dall’uomo per quasi due secoli e ridotto a un areale molto limitato lungo l’Appennino meridionale, negli ultimi decenni il lupo è tornato ad abitare l’arco alpino. Oggi l’animale popola anche il settore orientale, quindi il territorio del Veneto e delle regioni limitrofe. Anche la convivenza tra l’essere umano e questa specie, oltre che con altri predatori selvatici come l’orso bruno, è riapparsa nel dibattito scientifico, nonché al centro dell’attenzione mediatica e politica. 

Due studiosi e appassionati di videomaking hanno deciso di documentare un’innovativa sperimentazione di monitoraggio e gestione proattiva di alcune famiglie di lupi nel massiccio del Grappa e sull’altopiano di Asiago. Sono Bruno Boz e Ivan Mazzon, entrambi feltrini e da tempo impegnati in progetti di indagine e conservazione della fauna nel territorio delle Dolomiti.

Il trailer di Lupo Uno

“LUPO UNO – Gestione proattiva del lupo in Veneto” è il titolo che hanno dato al risultato di due anni di documentazione audiovisiva. Un film sorprendente il loro, che non solo restituisce con trasparenza lo stato dell’arte nella sperimentazione scientifico-tecnologica, ma emoziona, scuote e commuove. Lo sguardo ravvicinato dei registi tiene lo spettatore col fiato sospeso, facendo trasparire l’abilità nell’affiancare con discrezione e sapienza le attività adrenaliniche di una squadra di ricerca coordinata dall’Università di Sassari. Il film è stato presentato all’ultima edizione del Trento Film Festival, storico appuntamento che celebra il connubio fra arte cinematografica e cultura montana. In questa occasione ha ricevuto il premio per il miglior documentario istituito dalla sede Rai del Trentino. 

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I due autori hanno risposto alle domande di VeZ, raccontando la genesi di un progetto ibrido fra cinema e ricerca scientifica.

Siete dei registi, ma non solo. Qual è il vostro background professionale?

Bruno Boz: Io sono un biologo ambientale, vengo quindi dal mondo del monitoraggio e degli studi ambientali, cioè da ambiti molto legati al tema del film. Da circa vent’anni sono appassionato di immagini, sia fotografiche che video, e ho sempre accompagnato la mia attività di biologo con quella di fotografo e, più recentemente, di videomaker.

Ivan Mazzon: Io sono un fotografo naturalista, anche se in passato ho seguito un percorso di formazione molto diverso perché ho studiato informatica. Sin da piccolo ho una grande passione per gli animali e, avendo la fortuna di abitare ai piedi del Parco delle Dolomiti Bellunesi, ho sempre avuto come hobby la fotografia naturalistica. Comunque, da buon informatico, la tecnologia mi ha sempre appassionato e la mia attività fotografica si è evoluta nel tempo. A un certo punto ho iniziato a costruire delle fototrappole con delle fotocamere reflex collegate a dei sensori, specializzandomi nell’ambito del foto e video-trappolaggio. Da qualche anno quello che era un hobby è diventato sostanzialmente un lavoro. 

Immagine dal film Lupo Uno di Ivan Mazzon e Bruno Boz
Immagine dal film Lupo Uno di Ivan Mazzon e Bruno Boz

Come è nata l’idea di fare un film per raccontare una sperimentazione scientifica di questo tipo? Qual è l’origine di questo singolare partenariato tra Università di Sassari e Regione del Veneto?

BB: Il film è stato un’opportunità inaspettata: io e Ivan ci occupavamo di lupi da circa tre anni per un progetto con il Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, e ci siamo imbattuti nella storia molto interessante di questo gruppo di ricerca dell’Università di Sassari, in un’area limitrofa a quella del Monte Grappa. Abbiamo iniziato letteralmente a seguirli, stando con loro giorno e notte, ma senza un copione ben definito. Ne è uscito questo film, che spero sia emozionante oltre che documentativo.

IM: La squadra di ricerca protagonista del film fa parte del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Sassari, che comprende però professionisti di varie regioni, soprattutto la Toscana, dove c’è una grande esperienza con i lupi. Le nostre strade si sono in qualche modo incrociate con con quelle di questa squadra incaricata dalla regione Veneto di implementare un progetto sperimentale di gestione proattiva del lupo sul Monte Grappa. Inizialmente dovevamo realizzare solo un breve video documentativo sulle attività di cattura.

Ci eravamo immaginati di seguirli per una settimana, al massimo dieci giorni, sperando di riuscire a riprendere le fasi di installazione del radiocollare e poi di rilascio. Il lavoro invece è andato avanti, finché ci è stato chiesto di sviluppare tutta la storia. Noi non ci abbiamo pensato due volte, perché questo lavoro ci dava la possibilità di assistere e di documentare delle attività straordinarie. Da quel momento per due anni abbiamo seguito la squadra e di fatto è nato questo documentario.

Immagine dal film Lupo Uno di Ivan Mazzon e Bruno Boz
Immagine dal film Lupo Uno di Ivan Mazzon e Bruno Boz

Nel film emerge un’interessante simbiosi fra il vostro lavoro di documentazione cinematografica e il lavoro del team di responsabili della sperimentazione. Come si è articolata la vostra presenza all’interno delle operazioni che avete documentato?

BB: Alcune scene richiedevano la presenza di almeno due operatori, possibilmente tre, per gestire bene anche la registrazione audio. Tante sequenze del film si svolgono di notte in situazioni molto delicate. In quel caso era fondamentale avere dei microfoni ad alte prestazioni per riuscire a sentire le persone che parlano sottovoce, i suoni del bosco, il respiro del lupo durante l’installazione del radiocollare. Per fare il film è stato quindi necessario dormire e abitare negli stessi luoghi di questa squadra, che si organizza passando dei periodi di circa tre, quattro settimane in cui spesso non succede assolutamente nulla.

Nel nostro caso siamo stati fortunati perché al quinto giorno di affiancamento è avvenuto il fatto principale, quello da cui nasce la storia, cioè la cattura di un lupo e l’installazione del radiocollare. Dopodiché grazie a questo strumento altamente tecnologico gli spostamenti potevano essere più prevedibili e avevamo la possibilità di organizzarci in modo più classico. Detto questo, per filmare le scene salienti non sono mancati gli imprevisti.

Chi si occupa di lupi è molto abituato all’improvvisazione, è molto elastico nell’organizzazione. Il più delle volte pianificavamo delle riprese di un certo tipo, ma poi si finiva a casa di un pastore a mangiare assieme a lui e a cercare di strappare qualche battuta nella notte, altre volte l’attrezzatura non era quella giusta. Credo però che il successo che sta avendo il film sia legato anche alla genuinità di certe immagini, al fatto che a volte non sono perfette, proprio perché l’improvvisazione era la consuetudine durante le fasi di ripresa.

IM: Noi non ci definiamo soltanto registi. Bruno viene dal mondo della ricerca, io dal mondo della fotografia naturalistica, ma ho esperienza anche nel monitoraggio e nella raccolta di dati sull’erpetofauna (gli anfibi e i rettili, ndr). Arrivando da studi naturalistici ed essendo abituati a lavorare con gli animali sapevamo in parte già come approcciarci al lavoro della squadra senza interferire. Chiaramente c’è stata una preparazione e degli accordi su cosa fare e cosa non fare. Non abbiamo mai chiesto loro, per esempio, di rifare una scena perché era venuta male. Prima di tutto non andava ostacolato il loro lavoro. La nostra presenza è stata il più possibile discreta.

Immagine dal film Lupo Uno di Ivan Mazzon e Bruno Boz
Immagine dal film Lupo Uno di Ivan Mazzon e Bruno Boz

Il film si focalizza su un territorio specifico – il massiccio del Grappa, fra le province di Vicenza, Belluno e Treviso – ma racconta un’interessante trans-scalarità geografica e operativa tra istituzioni e professionisti di diversa provenienza. Secondo voi quanto è utile o addirittura necessario affrontare determinate questioni ambientali travalicando i confini amministrativi?

BB: Il lupo, così come i grandi carnivori ma anche altri animali, ovviamente non segue i nostri confini, né dei parchi, né delle province o delle regioni. Questa è sia una sfida che un’opportunità, a seconda dei punti di vista. La collaborazione tra soggetti diversi è non solo fondamentale ma necessaria. Ci sono dei branchi che passano una parte dell’estate dentro un parco nazionale in provincia di Belluno e poi d’inverno sono in Trentino, magari in un’area in cui c’è turismo invernale. È quindi fondamentale fare rete, come abbiamo fatto noi con il gruppo di ricerca, con la regione, con le guardie provinciali che a un certo punto hanno un ruolo all’interno del film. È molto utile avere un soggetto coordinatore, in questo caso l’università di Sassari ha giocato questo ruolo, ed è necessario avere regole chiare e una visione ampia.

È invece assolutamente deleterio avere iniziative troppo locali o troppo estemporanee perché i branchi e le famiglie si muovono, sono transfrontalieri, quindi faccio sinceramente fatica a capire come possano rendersi attuative iniziative prese, per esempio, da una singola provincia piuttosto che da una singola regione. Bisogna lavorare insieme, fare rete, altrimenti il problema è impossibile da gestire. Non si possono avere regole diverse e progetti che si sovrappongono. C’è effettivamente un po’ di sovraffollamento attorno a ogni singola famiglia di lupi, soprattutto nelle zone più raggiungibili, e questo può creare ulteriore confusione su un tema già complesso. 

Immagine dal film Lupo Uno di Ivan Mazzon e Bruno Boz
Immagine dal film Lupo Uno di Ivan Mazzon e Bruno Boz

Mi sembra che questo progetto sia un esempio di coordinamento fruttuoso fra enti di scala variabile, o sbaglio?

BB: Sì, confermo. Come documentaristi siamo felici anche di non aver ricevuto particolari pressioni per mettere o togliere una scena piuttosto che un’altra. Siamo riusciti a fare un’operazione importante, quella di documentare in modo trasparente il punto in cui si è oggi con la ricerca e con l’uso delle nuove tecnologie per per favorire la convivenza fra uomo e lupo. Laddove la documentazione è parziale o poco trasparente si crea invece disinformazione, e questo è forse uno dei principali e più attuali problemi per la conservazione di questa specie. Ma anche per vivere in modo più sereno la montagna in questa fase storica in cui sono tornati i predatori.

Dal nostro punto di vista questo tipo di esperienza è stata positiva, può essere un modello replicabile, anche se è chiaro che la scala del territorio in cui attualmente sono presenti i lupi è molto ampia. È difficile riscontrare esperienze simili in tutto l’arco alpino, ogni zona fa un po’ storia a sé in questa fase storica.

Immagine dal film Lupo Uno di Ivan Mazzon e Bruno Boz
Immagine dal film Lupo Uno di Ivan Mazzon e Bruno Boz

Ci saranno delle proiezioni in Veneto prossimamente?

BB: Abbiamo una proiezione con il CAI il 29 agosto a Dueville (VI). In questi giorni stiamo definendo un calendario un po’ più ampio. A noi chiaramente piacerebbe fare una proiezione a Feltre e Belluno, essendo entrambi di questa zona. Ci ha colto un po’ impreparati il piccolo successo di questo film, il numero di richieste è alto e il tema è evidentemente d’interesse. A breve comunque pubblicheremo un calendario nel sito https://ivanmazzon.com/lupo-uno.

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