Rane nella neve a 1700 metri

3 minuti di lettura
Rane nella neve a Monte Zebio. Foto di Pietro Lacasella

A volte sono proprio i luoghi con cui si ha più confidenza a offrire emozioni inaspettate. Sì, perché nella quiete della familiarità, i fenomeni inusuali risaltano per contrasto. E poi, a dirla tutta, magari non si tratta nemmeno di episodi eccezionali: molto semplicemente è difficile essere presenti nel breve lasco temporale in cui si manifestano. Per questo motivo la sensazione di stupore aumenta e la curiosità inizia a farsi strada insieme al desiderio di saperne di più.

Sabato scorso mi trovavo a Monte Zebio (1.717 metri), sull’Altipiano dei Sette Comuni. Lo Zebio è stato teatro di violente battaglie durante la Prima guerra mondiale e tra i suoi declivi ancora si possono osservare le cicatrici lasciate dalla furia bellica, tra trincee e buche di mine.

Oggi, nell’anfiteatro retrostante la vetta, si incontra una malga con annesso porcile e stalla per le vacche che d’estate pascolano nei prati circostanti. Naturalmente tra i pascoli ci sono le pozze di abbeverata: una di queste si trova giusto una cinquantina di metri a monte rispetto alla massima depressione dell’anfiteatro che custodisce la malga. Sabato scorso traboccava di acqua di fusione, dando origine a un reticolo di ruscelli che si infilavano tra la neve che ancora resiste al calore primaverile, negli ultimi giorni particolarmente marcato e insistente.

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Proprio in quello scivolo di neve bagnata sono stato testimone del fenomeno inusuale (almeno per me): centinaia di rane risalivano placidamente la rampa biancastra con l’evidente obiettivo di raggiungere la pozza. Era la prima volta che vedevo delle rane nella neve, ma la cosa più sorprendente era un’altra: le rane salivano a coppie, una sul dorso dell’altra, avvolte in un abbraccio quasi a formare un unico corpo a due teste.

“Nel caso specifico – mi ha spiegato l’erpetologo Luca Roner – tu hai visto numerosi individui di Rana temporaria: abbiamo il maschio che si aggrappa sopra alla femmina fino a farsi trasportare al sito riproduttivo. Quindi te sei stato testimone di un momento in cui probabilmente, complici le temperature elevate degli ultimi giorni, gli animali si sono attivati”.

“Uno dei problemi che può essere legato al cambiamento climatico – ha aggiunto – e che se ci sono delle giornate molto calde anticipate, magari anche durante l’inverno, il rischio è che questi animali escano credendo che sia arrivata la primavera e poi, una volta usciti dai rifugi e dallo stato di latenza invernale, rischiano di trovarsi congelati a causa dell’escursione termica o di un repentino raffreddamento delle temperature”.

Questo post è stato pubblicato da Pietro Lacasella sulle pagine Facebook e Instagram del blog Alto-Rilievo / voci di montagna, e sul magazine L’Altramontagna.

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