Pfas, studio scientifico: mortalità aumentata nell’area rossa

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Foto di Greenpeace

«Per la prima volta è stata dimostrata formalmente un’associazione tra l’esposizione ai Pfas e la mortalità per malattie cardiovascolari. L’evidenza relativa al cancro del rene e del testicolo è coerente con i dati precedentemente riportati». Sono le conclusioni di uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Health (qui il link) e condotto dal professore Annibale Biggeri assieme al suo team dell’Università di Padova, in collaborazione con ricercatori dell’Istituto Tumori della Romagna, il Servizio Statistico dell’Istituto Superiore di Sanità e con il contributo di citizen science del gruppo Mamme No Pfas, ha evidenziato un aumento della mortalità.

«L’Istituto Superiore di Sanità ha pre-elaborato e reso disponibili i dati anonimi dell’archivio dei certificati di morte dell’Istat per i residenti delle province di Vicenza, Padova e Verona (maschi, n = 29.629; femmine, n = 29.518) deceduti tra il 1980 e il 2018 – si legge nell’abstract dell’articolo scientifico –. L’analisi del periodo di calendario è stata effettuata calcolando i rapporti standardizzati di mortalità utilizzando come riferimento la popolazione totale delle tre province nello stesso periodo di calendario. L’analisi della coorte di nascita è stata effettuata utilizzando i rapporti di mortalità standardizzati cumulativi 20-84 anni. L’esposizione è stata definita come la residenza in uno dei 30 comuni dell'”area rossa”, dove l’acquedotto che fornisce acqua potabile era alimentato dalle acque sotterranee contaminate».

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I risultati

«Nei 34 anni compresi tra il 1985 (data di inizio della contaminazione dell’acqua) e il 2018 (ultimo anno di disponibilità di dati di mortalità specifici per causa), nella popolazione residente dell’area rossa sono stati osservati 51.621 decessi rispetto ai 47.731 attesi – si legge ancora nell’abstract su Environmental Health –. Abbiamo trovato evidenze di un aumento della mortalità per malattie cardiovascolari (in particolare, cardiopatie e cardiopatia ischemica) e per malattie neoplastiche maligne, tra cui il tumore del rene e il tumore del testicolo».

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I giovani sono i più esposti

In un comunicato del movimento delle Mamme No Pfas, che ha partecipato alla ricerca, si afferma che «tramite l’analisi delle diverse classi d’età, lo studio ha evidenziato un aumento del rischio di insorgenza di malattie tumorali al diminuire dell’età. La popolazione più giovane, esposta ai Pfas già durante l’infanzia, è quella che paga il prezzo più alto».

Al contrario, le donne in età fertile sarebbero più protette dal pericolo, un fenomeno che, affermano le Mamme No Pfas, «potrebbe essere attribuito al trasferimento, già ampiamente documentato in letteratura scientifica, delle Pfas dal sangue materno al feto durante la gravidanza e l’allattamento, e alla conseguente diminuzione di livelli di Pfas nelle madri».

La richiesta alla Regione: avviare lo studio di coorte

Per il movimento «queste drammatiche evidenze scientifiche sottolineano che non esistono più scuse per ritardare ulteriormente l’avvio dello Studio di Coorte, deliberato dalla Regione del Veneto già nel 2016, ma mai iniziato. E no, il Piano di Sorveglianza Sanitaria non basta perché ha metodi e obiettivi diversi. In particolare lo Studio di Coorte è fondamentale in questo contesto per diverse ragioni tra cui l’analisi a lungo termine, l’identificazione dei fattori di rischio, il delineamento di informazioni per le politiche di salute pubblica. Pertanto, nonostante il Piano di Sorveglianza Sanitaria fornisca informazioni preziose sulla salute della popolazione esposta, lo Studio di Coorte è un complemento indispensabile per comprendere a fondo l’impatto della contaminazione da Pfas sulla salute umana. Ci interfacceremo con tutti gli enti e le istituzioni preposte perché siano comprese la necessità e l’urgenza di questo Studio di Coorte di cui la popolazione colpita ha diritto».

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