Pfas, nuovo studio su Lancet: «Pfoa certamente cancerogeno»

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Ricerca sul cancro. Photo by National Cancer Institute / Unsplash

D’ora in poi sarà impossibile sottostimare la pericolosità delle sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), i composti “eterni” presenti in diversi prodotti di uso comune, dalle padelle ai cosmetici, e al centro di un grande caso di inquinamento in Veneto per cui è in corso anche un processo a Vicenza.

Un nuovo autorevole studio ha infatti classificato il Pfoa (acido perfluoroottanoico) come certamente cancerogeno, mentre il Pfos (acido perfluoroottanosolfonico) è stato ritenuto probabilmente cancerogeno per l’uomo.

La ricerca pubblicata da Lancet Oncology

La ricerca è stata realizzata da 30 scienziati di 11 paesi per conto dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e si è basata sull’esame della letteratura esistente in occasione del programma Monografie IARC che si è svolto dal 7 al 14 novembre a Lione. Una sintesi delle conclusioni è stata poi pubblicata il 30 novembre in un articolo sulla rivista scientifica Lancet Oncology. Lo studio ha di fatto aumentato il livello di cancerogenicità, e quindi di pericolosità, delle due sostanze appartenenti alla famiglia dei Pfas.

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Il Pfoa era stato considerato in precedenza dalla IARC nel 2014 solo come un possibile cancerogeno per l’uomo. Il Pfos non era invece ancora stato valutato come possibile causa di tumori. Secondo le rilevanze prese in considerazione dagli esperti questo mese, per il Pfoa c’erano prove sufficienti di cancro negli animali da esperimento e forti prove meccanicistiche negli esseri umani esposti, oltre a evidenze di carcinoma a cellule renali e cancro ai testicoli. Il Pfos è stato indicato come «probabilmente cancerogeno per l’uomo» sulla base di test e alle molte caratteristiche in comune con agenti cancerogeni. 

Dove si trovano Pfoa e Pfos

Pfoa e Pfos sono presenti ovunque nell’ambiente e sono stati trovati in un’ampia gamma di prodotti come imballaggi alimentari, materiali da costruzione, tappeti e indumenti impermeabili, oltre che nell’acqua potabile. I più esposti sono i lavoratori impiegati nella produzione di questi composti e chi utilizza oggetti che li contengono in grandi quantità.

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Per esempio, Pfoa e, in misura molto maggiore, Pfos sono stati ampiamente utilizzati in alcune schiume antincendio o nelle tute indossate dai vigili del fuoco. Il loro uso è stato vietato in molti paesi, ma l’esposizione a queste sostanze dei pompieri è ancora possibile quando vengono utilizzate vecchie scorte.

Le reazioni di movimenti e politica

Hanno reagito con entusiasmo alla notizia della pubblicazione le Mamme No Pfas, il movimento che da anni si batte per fare chiarezza sull’esposizione ai Pfas in Veneto. «È una svolta importante perché impedisce ancora una volta di minimizzare e chiudere gli occhi sulla pericolosità di queste sostanze» hanno dichiarato in un post su Facebook. 

Anche la politica veneta, riporta oggi il Giornale di Vicenza, ha accolto lo studio come l’ennesima conferma di quanto in molti sostenevano già da tempo. I rappresentanti del Partito Democratico in Consiglio regionale hanno fatto sapere che la svolta è decisiva perché fino ad ora «veniva persino messa in dubbio la loro (dei Pfas, ndr) pericolosità per la salute». Anche la consigliera di Europa Verde Cristina Guarda, da tempo in prima linea nella battaglia contro queste sostanze, ha affermato che le conclusioni della IARC impediscono di «chiudere gli occhi sulla pericolosità» di questi composti.

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Per l’associazione Medicina Democratica «queste nuove valutazioni confermano l’estrema tossicità di queste due sostanze, oramai uscite dalle produzioni, e dà elementi utili per incalzare i responsabili dell’inquinamento e dell’esposizione alle persone per il sito di Trissino come in ogni altra realtà che ha utilizzato queste sostanze», ma soprattutto chiama «i responsabili tecnici e politici, nazionali ed europei, ad intervenire nei confronti di tutta la “famiglia” dei Pfas, ovvero dei loro sostituti ancora utilizzati».

Philippe Grandjean: «Pfas nuovo amianto»

Sulla pericolosità dei Pfas si è espresso con chiarezza poco prima della pubblicazione dello studio IARC, anche Philippe Grandjean, professore di Medicina Ambientale presso l’Università della Danimarca Meridionale, all’Università di Boston e ad Harvard. Grandjean è stato ascoltato come consulente nell’ambito del processo vicentino per avvelenamento delle acque e disastro innominato a carico di 15 ex manager della ditta Miteni di Trissino.

L’ingresso della Miteni a trissino. Foto ufficio stampa Cgil Vicenza

Secondo l’esperto esiste ormai «una documentazione sostanziale che dimostra una chiara associazione tra esposizione a Pfas ed effetti avversi sulla salute umana nella popolazione generale, soprattutto a livelli elevati, come quelli osservati nella “zona rossa” del Veneto». 

La deposizione dello scienziato ha poi evidenziato un errore di calcolo dell’EFSA (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) che nel 2020 aveva stabilito che l’assunzione settimanale tollerabile della somma di quattro Pfasè pari a 4,4 nanogrammi (ng) per chilogrammo di peso corporeo, un livello che corrisponde a una concentrazione di 6,9 ng per millilitri nel sangue. Secondo Grandjean il limite dell’EFSA è erroneamente elevato a causa di problemi di calcolo» e ha ricordato che nel 2022, l’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti «ha raccomandato limiti di esposizione inferiori di un centinaio di volte» rispetto a quelli di EFSA, di fatto virtualmente eliminandole.

Il professore ha evidenziato però come la valutazione dell’esposizione cumulativa di Pfas nell’organismo non possa basarsi semplicemente sulle concentrazioni nel sangue, perché questi inquinanti si accumulano anche negli organi e nei tessuti. Proprio per la loro persistenza e gli effetti a lungo termine, Grandjean ha definito queste sostanze come «il nuovo amianto». E come l’amianto ora anche ufficialmente cancerogene.

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