Sindrome del Mulino Bianco: la protesta dei trattori vista da Bruxelles

di Davide Sabbadin Economie In evidenza
11 minuti di lettura
Delegazione di Coldiretti Veneto in Place du Luxembourg a Bruxelles, durante la protesta degli agricoltori a inizio febbraio 2024. Foto ufficio stampa Coldiretti

E anche i pesticidi, ce li siamo giocati. Negli stessi giorni in cui due principali catene di supermercati fiamminghi Delhaize e Albert Heijn ritirano dai loro scaffali tutti gli spinaci perché trovati positivi a massicce contaminazioni di pesticidi, con un tempismo che sarebbe da ammirare se non fosse terrificante, Ursula von der Leyen annuncia un’altra vittoria per gli agricoltori brucia alberi e abbatti statue: la proposta di normativa europea sul taglio dell’uso dei pesticidi viene ritirata.

Non accade tutti i giorni che succeda una cosa del genere. Qualche settimana fa vi avevo raccontato di come il Parlamento Europeo avesse bocciato la proposta di ridurre drasticamente l’uso dei pesticidi. Ma di solito la Commissione Europea in questi casi riformula la proposta, adattandola alle richieste del Parlamento o del Consiglio, e la ripresenta. Questo annuncio della presidente della Commissione in sostanza è particolarmente grave perché rinuncia alla norma in tutto e per tutto. Non se ne parla più, dice Von del Leyen, perché è troppo divisiva.

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È solo una delle tante cose che gli agricoltori anticlima hanno ottenuto in poche settimane di clamorose, ben orchestrate e ben raccontate lotte. Sul piano della burocrazia eccessiva o dei prezzi troppo bassi, il loro vero problema, non hanno ottenuto una mazza. Ed è difficile pensare che possano farlo, perché lì si tocca il portafogli di gente importante.

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Ma sul loro obiettivo numero uno, il Green Deal, è stata tutta una corsa a chi li accontentava di più: sembrava quasi che gli agricoltori avessero capito che in questa fase politica serviva solo una scusa per buttare giù quelle poche conquiste ambientali e climatiche in agricoltura costate anni di lavoro al mondo ambientalista.

Il corteo entra in città. Con la scorta

Ho diversi amici e colleghi che abitano a Ixelles, il quartiere che bisogna attraversare per arrivare alla piazza del Parlamento Europeo a Bruxelles, la Place du Luxembourg. In quelle mattine di protesta in diversi mi hanno raccontato di essere stati svegliati alle 5 di mattina o giù di li da una confusione enorme nelle strade. Alzatisi, sono andati alla finestra e hanno visto il corteo di trattori entrare in città. Strombazzando e facendo svegliare tutti alle cinque, com’è normale che sia per gente che è abituata ad alzarsi alle quattro di mattina.

Ma non erano soli. Li accompagnava, letteralmente, la polizia. Che li ha scortati, diligentemente, fino alla piazza di destinazione. Dove, sempre in maniera diligente, li ha ho osservati bruciare alberi e copertoni davanti alla principale istituzione europea, e devastare una statua al centro della piazza.

Capiamoci: non hanno buttato zuppa o colorante alimentare sulla statua. L’hanno divelta e bruciata. Non si sono incollati con la mano al Parlamento: ci hanno bruciato dei copertoni davanti. Non si sono seduti pacificamente sulle autostrade per un paio d’ore avvinghiandosi gli uni agli altri: le hanno bloccate per giorni con i trattori. Dico tutto questo perché in tanti, in quei giorni, hanno notato sgomenti la differenza di trattamento della polizia rispetto alle centinaia di giovani che manifestano per il clima usando la mobilità o l’attenzione alle opere d’arte come strumento di sensibilizzazione.

E che sono stati di volta in volta menati selvaggiamente, imprigionati per ore o per giorni, condannati a pene assurde. Agli agricoltori, invece, è mancato poco che la polizia portasse anche i tramezzini e l’aranciata all’ora della merenda. A Bruxelles come ovunque.

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Retromarcia su clima, carne e pesticidi

Sembra tutto orchestrato perfettamente, tutto perfettamente calcolato, tutto atteso e tutto perfettamente riuscito. Dopo poche ore arriva l’annuncio che vengono eliminate dalla Politica Agricola Comunitaria le poche regole di condizionalità climatica ed ambientale che si applicavano ai pagamenti. E pochi giorni dopo l’annuncio degli obiettivi climatici europei per il 2040, dal cui testo iniziale è sparito ogni riferimento alla necessità di tagliare le emissioni in agricoltura, unico settore che non ha mai fatto nessun passo in avanti in questo senso.

In particolare stride l’assenza di ogni commento a proposito del consumo di carne, che pure c’era nelle bozze circolate nei giorni prima. In barba allo stesso comitato scientifico messo in piedi dalla Commissione Europea, si piega la testa alla lobby dei gradi proprietari terrieri, quelli che beneficiano dell’80% dei contributi della PAC – che a sua volta conta per un terzo del bilancio della UE – e che problemi di prezzi e di rapporti con i supermercati non ne hanno.

E per ultimo, nello stesso giorno, l’annuncio dell’abbandono della norma sui pesticidi. Per i trattori, vittoria su tutto il fronte in meno di una settimana.

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La memoria va ai mesi di proteste dei Fridays for Future. Dei milioni, non migliaia, di persone in piazza in quella stagione guidata simbolicamente da Greta Thunberg. Della difficoltà nel cambiare il paradigma, ma anche dell’importanza di quelle lotte e di quelle proteste, inaudite e mai viste negli ultimi 50 anni in Europa, per arrivare a quel Green Deal Europeo che ha acceso la speranza di potercela fare nella lotta ai cambiamenti climatici, che ha reso l’Europa il continente più virtuoso e quello che dà l’esempio. Lo stesso Green Deal che i trattori in piazza vogliono demolire, almeno per la loro parte.

Una manifestazione dei Fridays For Future. Photo by Mika Baumeister / Unsplash
Una manifestazione dei Fridays For Future. Photo by Mika Baumeister / Unsplash

Tradite le lotte dei giovani

E quindi è con un pò di sgomento che stamattina, da un tweet di Extintion Rebellion Italy, leggo l’ennesimo articolo che dice che la protesta degli agricoltori ci riguarda tutti. È solo l’ultimo di una serie di tweet, articoli, post, dichiarazioni di esponenti sia di movimento che istituzionali che si occupano di clima e che in qualche modo assumono un tono comprensivo verso i trattori in piazza. Sapendo che l’opinione pubblica – che mediamente sa poco di clima o di agricoltura e ancora meno del legame tra i due – sta dalla parte degli agricoltori e che quindi è difficile andarci contro.

Ecco quindi che l’accento è sulle sensate ragioni degli agricoltori – i prezzi bassi, l’eccessiva burocratizzazione del lavoro – che giustificherebbero delle proteste il cui risultato rispetto alle a queste ragioni è zero totale, ma che hanno però ottenuto di spazzare via anni di lavoro sul clima e, in questo sì, ottenendo un risultato molto caro a chi queste proteste le ha cosi accuratamente organizzate e orchestrate. Cosi facendo, peraltro, i manifestanti sembrano darsi la zappa su entrambi i piedi e non solo sui loro, anche sui nostri, perché i disastri climatici colpiscono per prima cosa l’agricoltura, che fornisce a loro reddito e a noi cibo.

C’è da chiedersi come mai sia cosi difficile vedere la palese contrapposizione di richieste, e quindi di interessi tutelati, tra i giovani per il clima e i trattori scortati dalla polizia. Mi viene in mente solo l’ipotesi che l’agricoltore che abbiamo in mente non è quello che distribuisce il glifosato sotto la vigna come se piovesse. È l’agricoltore idealizzato che abbiamo visto in tv quando siamo cresciuti, quello che coltiva i campi con metodi naturali ed ancestrali, quello che “torna alla natura” come diceva un vecchio slogan pubblicitario. Quello del Mulino Bianco, insomma. E che di questa immagine, di questa figura, siamo un po’ tutti succubi. Una specie di sindrome di Stoccolma. Ma nel Mulino Bianco. Per quello non ci arrabbiamo. Per quello facciamo quelli che “ma sì, in fondo hanno ragione”. Per quello, forse.

E in tutto questo molti dimenticano che senza i milioni di giovani in piazza non ci sarebbe mai stato nessun Green Deal. Che non ci sarebbero mai stati i coraggiosi – anche se insufficienti – obiettivi climatici europei. E neanche quelli mondiali, che alla COP28 hanno fatto passi in avanti solo grazie al fatto che l’Europa da anni ha praticato una via di coerenza. Ecco, senza quelle lotte saremmo messi molto peggio: saremmo senza speranza.

E che quindi se non tornano quei milioni, se non torna la voce di chi ha un futuro da perdere, prevarrà la voce di chi ha un presente da gestire. Soprattutto se alle elezioni europee vengono eletti quelli a cui il clima e l’ambiente non importano per nulla.

Senza la lotta dentro e fuori le istituzioni, insomma, si torna indietro.

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