Protesta dei trattori, l’Ari: «In Italia nessuno rappresenta i contadini»

di vez Economie In evidenza Verona
11 minuti di lettura
Protesta degli agricoltori in Germania, gennaio 2024. Photo by doosenwhacker / Pixabay

Da Venezia a Verona, anche in Veneto negli ultimi giorni la “protesta dei trattori” – divampata in Europa a partire da Germania e Francia – è scesa in strada per protestare contro i costi di produzione sempre più alti per gli agricoltori e i problemi creati dalle politiche “green” europee. Non sono mancate le note polemiche contro le grandi organizzazioni di settore accusate di comportarsi troppo da lobby e poco da sindacato.

Proprio a Verona ha le sue radici l’Ari, Associazione rurale italiana, nata negli anni ’80 dall’esperienza delle “scuole rurali” e aderente alla Fimarc, federazione internazionale dei contadini cattolici, successivamente “innestatasi” nel movimento globale di Via Campesina che raggruppa 200 milioni di piccoli contadini nel mondo. Ari è intervenuta sulle proteste in corso con un documento che inquadra le specificità italiane nel contesto europeo e in una prospettiva agroecologica. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Garbarino, allevatore sull’Appennino ligure-piemontese, co-coordinatore di Ari insieme alla veronese Paola Peretti.

Garbarino, quali sono le cause scatenanti delle proteste di questi giorni in Italia?

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Per prima cosa la scelta del governo Meloni di rimettere l’Irpef sui terreni agricoli che il governo Renzi aveva tolto. L’altro motivo è il Green Deal europeo, che chiede agli agricoltori di fare una produzione più verde, attraverso un sistema estremamente complicato di eco-schemi (che subordinano l’erogazione dei contributi a una stringente valutazione delle pratiche agricole rispettose dell’ambiente, ndr), ma a fronte di contributi sempre più magri.

Qual è la vostra posizione sul Green Deal?

Noi abbiamo sempre detto che il Green Deal è troppo timido, bisognava essere molto più incisivi. Ma nell’attuale situazione di mercato, e vista l’enorme quantità di risorse a disposizione dell’Europa, per permettere ai contadini di compiere la transizione ecologica senza rimetterci bisognerebbe pagarli bene. Se no chiudono.

Chi scende in strada in Europa oggi? E perché in Italia non protestano le grandi associazioni del mondo agricolo?

La differenza che salta agli occhi è che in Europa scendono in piazza le organizzazioni, anche con posizioni diametralmente opposte tra loro. In Francia c’è una divisione netta: da una parte i trattori della Confédération Paysanne, che rappresenta i piccoli contadini, dall’altra quelli della FNSA, che rappresenta le grandi aziende, ad esempio quelle cerealicole, da 500-600 ettari. In Francia si sentono rappresentati da queste due macro-aree che hanno idee chiare e modalità diverse. In Italia non c’è un sindacato in piazza, e chi protesta non li vuole: sono passato in strada oggi ad Alessandria e mi hanno detto che non vogliono le bandiere delle organizzazioni ufficiali.

C’è un problema di rappresentanza?

Si tratta di un rifiuto, su cui mi sento di dare loro ragione: le organizzazioni di categoria oggi sono parte del problema, da troppi anni inseguono chimere, fanno lotte “di potere” e hanno lasciato indietro i loro iscritti, senza rendersi conto che il numero di aziende agricole che sta chiudendo anno dopo anno è sempre più alto. Ci parlano della carne coltivata o degli Ogm, che non aggrediscono il problema: i contadini fanno dieci lavori per portare a casa uno stipendio.

Noi di Ari rappresentiamo una quota molto piccola di agricoltori, ma in Italia la rappresentatività è “di facciata”. Se sei un contadino per fare la dichiarazione dei redditi devi tesserarti a un’associazione di categoria, per poterti appoggiare ai Caa, centri di assistenza agricola, legati principalmente a Coldiretti, Cia e Confagricoltura.

Nel vostro comunicato sottolineate che tra chi protesta in Europa «non ci sono soltanto gli agricoltori classici che coltivano il proprio appezzamento di terra più o meno grande, ma anche moltissimi contoterzisti che sono la nuova formula con cui le grandi aziende si liberano dei braccianti e pagano ditte esterne per fare i lavori». Che significato ha questo distinzione?

Oggi l’agricoltura si sta trasformando. C’è stata una progressiva distruzione del tessuto agricolo dovuta a scelte imposte dall’alto, per favorire la concentrazione, motivata dalla poca redditività delle piccole aziende. Chi ha chiuso si è trasformato in conto terzista e va a coltivare le terre degli altri (che a volte erano le loro). Non ha più il problema di vendere il prodotto, ma quando aumenta il costo del gasolio si fatica ad andare avanti. E se si rompe il trattore, è un problema suo. Tuttavia la scarsa redditività è un problema anche delle grandi e grandissime aziende, che stanno in piedi perché sono fortemente sussidiate.

Protesta degli agricoltori in Germania, gennaio 2024. Photo by doosenwhacker / Pixabay

Come Ari siete presenti alle proteste?

Noi siamo presenti perché pensiamo che dobbiamo lottare insieme, ma con la nostra agenda, e senza farci strumentalizzare dall’estrema destra. È da 20 anni che lottiamo per una Pac, politica agricola comune europea, più sostenibile ambientalmente ed economicamente. Una Pac che ripartisca in maniera più equa i contributi, di cui oggi l’80% va al meno del 20% delle aziende agricole, e che in 60 anni ha distrutto l’80% del lavoro in campagna.

L’obiettivo non è farsi togliere un po’ di accise sul gasolio, ma è fare una vita diversa. Oggi il contoterzista è pagato meno di un operaio, per stare su un trattore 16 ore al giorno. I cittadini europei non hanno più voglia di pagare per questo modello agricolo. L’alleanza tra contadini e cittadini va costruita su altre basi.

Coldiretti, la principale organizzazione del settore, ha annunciato che l’1 e il 2 febbraio non sarà presente a Fieragricola, a Verona, perché sarà a Bruxelles a protestare contro l’obbligo di lasciare incolto il 4% dei terreni destinati a seminativi, imposto dalla Politica agricola comune per rigenerare i suoli. Che ne pensate?

È una delle tante contestazioni che vengono fatte, una delle più strumentalizzabili. È facile colpire una regola che mira a mantenere inattiva parte dei suoli distrutti da anni di agricoltura industriale, con l’obiettivo di rigenerarli. Coldiretti protesta contro se stessa, dal momento che esprime il vice presidente di Copa-Cogeca (il più forte gruppo di interesse degli agricoltori europei, ndr), che tiene in mano le chiavi del potere agricolo in Europa.

Il problema è che la Pac adotta un modello neoliberista, che applicato in agricoltura è ancora più perverso. Rappresenta il secondo capitolo di bilancio dell’UE, con 386 miliardi di euro per il 2023-2027. La Pac era nata per dare la sicurezza alimentare agli europei, oggi deve servire anche a farli mangiare meglio e tenere i territori puliti e sani. Ci sarebbero tutte le risorse per rovesciare l’attuale modello di agricoltura industriale e farne crescere uno sostenibile, biologico, agroecologico, che produca cibo di qualità.

Se lo facessimo, non ci sarebbe bisogno di obbligare gli agricoltori a lasciare il 4% dei terreni improduttivi, perché i terreni sarebbero già in salute. Con il modello vigente invece dobbiamo continuare a pompare: acqua, fertilizzanti, pesticidi, petrolio per far funzionare trattori sempre più inquinanti, in una catena senza fine.

Un’altra misura, per la verità molto poco discussa, adottata dall’attuale governo riguarda i giovani: con la legge di bilancio 2024 è stato abolito l’esonero dei contributi Inps per gli agricoltori sotto i 40 anni.

Crediamo ci sia un grosso problema di ricambio generazionale nelle aziende agricole. In Italia l’età media per gli agricoltori è 63 anni, troppo alta. La Pac in questo è insufficiente. Tanti ragazzi vorrebbero prendere in mano le aziende, ma pochissimi ci riescono a a causa dei meccanismi economici e burocratici. Con Paola Laini, Ari è responsabile europea di Via Campesina per il settore dei giovani in agricoltura.

Tra il 2 e il 4 febbraio terrete a Roma, nella Cooperativa agricola Coraggio, terrete la vostra assemblea annuale. Quali sono i temi più caldi?

Il tema è il diritto alla terra: come viene utilizzata, da chi, se ce n’è abbastanza per i giovani e i meno giovani. La terra in Italia è un bene scarso, a causa di cementificazione, grandi opere inutili, accaparramento e tanto abbandono: dai 500 metri di altitudine in su il territorio è inselvatichito, e non porta benessere a nessuno, con la crescita di boschi instabili dal punto di vista idrogeologico, l’aumento del rischio di incendi e la diffusione incontrollata degli animali selvatici. Ne parleremo in un dibattito pubblico il 3 febbraio in cui si confronteranno esperienze da tutta Italia. E poi faremo due giorni di full immersion per decidere le linee politiche – ci tengo a sottolineare questa parola, perché l’agricoltura è politica – della nostra associazione per il nuovo anno.

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