Valle del Mis: sbarramento infinito

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Lo sbarramento in Valle del Mis - foto di Elisa Cozzarini

Valle del Mis, Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi. A dare il benvenuto ai visitatori in questo pezzo di Patrimonio dell’Umanità, c’è ancora il cantiere abbandonato per la costruzione di una piccola centrale idroelettrica. Ben dieci anni fa, dopo una lunga battaglia legale arrivata fino in Cassazione, il Comitato Acqua bene comune è riuscito a bloccare un’opera che non avrebbe mai dovuto essere autorizzata. Lo sbarramento, con il tempo, e soprattutto con la tempesta Vaia, si è riempito di ghiaia, le condotte che dovevano portare via l’acqua sono saltate, l’edificio della centrale è un guscio vuoto in cemento. Intanto il Mis scorre, ha trovato la sua via. Il Genio Civile di Belluno, su incarico della Regione Veneto, ha proposto due soluzioni per il ripristino (che dovrebbe essere pagato dalla ditta costruttrice) e, pare, quella che piace di più manterrebbe lo sbarramento sul fiume. 

Non riusciamo, in Italia, a buttare giù neanche una piccola diga che non avrebbe mai dovuto essere costruita. Nel frattempo la Spagna ha rimosso, in un solo anno, 133 sbarramenti. In totale in Europa sono state eliminale 325 barriere (il 71% riguarda briglie fino ai 2 metri), in base al censimento di Dam removal Europe sui fiumi europei, tra i più frammentati e artificializzati al mondo. 

Rimuovere un ostacolo trasversale è il modo più efficace di migliorare lo stato ecologico dei corsi d’acqua: «Così si ottiene il maggior beneficio al prezzo più basso», ha dichiarato, Ignacio Rodríguez Muñoz dell’Autorità di Bacino del Duero in Spagna. In Italia questo aspetto è completamente ignorato nel discorso pubblico: si parla di nuove dighe e invasi come unica, magica, soluzione per risolvere il problema della siccità e pure il rischio alluvionale, per produrre energia, irrigare, fare turismo, etc. Ma come riempiamo gli invasi quando non piove? E poi, per ridurre il rischio alluvionale, non ci salveranno nuove dighe – se si riusciranno a costruire. Serve invece ridare spazio ai fiumi, liberare le piane alluvionali dove possibile… Ri-dare spazio vuol dire che lo abbiamo occupato noi, con strade, città, manufatti, campi coltivati. Riqualificazione, ripristino, rinaturalizzazione: si usano queste parole perché i nostri fiumi non stanno bene. Le soluzioni ingegneristiche basate sulla natura ci possono aiutare a migliorare il loro stato ecologico, ma bisogna che l’Italia guardi avanti, verso un nuovo approccio alla gestione fluviale. Bisogna che inizi davvero a prendere sul serio le indicazioni europee, dalla Direttiva quadro acque 2000/60 alla Strategia per la biodiversità al 2030, alle Linee guida per la corretta gestione dei corpi idrici. 

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La Spagna dimostra che si può fare. 

Ne ho scritto nel numero di giugno de La nuova ecologia, per abbonati e soci Legambiente:  www.lanuovaecologia.it/fiumi-da-liberare

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