Istruzioni per imparare a perdere una battaglia e continuare a lottare

di Elisa Cozzarini Ecosistemi In evidenza
4 minuti di lettura
Pordenone, 31 gennaio 2024, flash mob dei cittadini contro l'abbattimento di 47 tigli. Foto Elisa Cozzarini

Believe, credere: è il segreto per sopravvivere alle sconfitte. Credere nella bontà della causa, anche quando si perde ingiustamente e i danni sono incalcolabili. Me l’ha spiegato Ulrich Eichelmann, ecologo tedesco e presidente della ong Riverwatch, ideatore della campagna Save the Blue Heart of Europe, in difesa dei corsi d’acqua ancora selvaggi nei Balcani.

Lo diceva a proposito della diga di Ulog, in costruzione nell’alto corso della Neretva, in Bosnia ed Erzegovina, nonostante il rischio Vajont e il parere del Comitato permanente della Convenzione di Berna sulla conservazione della vita selvatica e degli habitat naturali in Europa, che chiedeva invece di creare un’area protetta. E lo diceva, soprattutto, per Hasankeyf, una città con dodicimila anni di storia, sommersa dopo la costruzione della diga di Ilisu, sul fiume Tigri, nel Sudest della Turchia, l’antica Mesopotamia, la terra tra i fiumi. Ci sono stata nel 2011, in occasione del Newroz, il capodanno curdo, simbolo dell’identità di un popolo fiero e oppresso. Ne parlo nel mio libro, “Gli intrecci del fiume. Piccole trame in equilibrio variabile”, che uscirà in libreria dal 29 marzo per i tipi di Ediciclo editore.

Ci penso in questi giorni, dopo che a Pordenone l’amministrazione comunale ha abbattuto 47 tigli vecchi di diversi decenni, per costruire un nuovo centro sportivo, chiamato Polo Young. Il tutto con i soldi del Pnrr: quelli che dovevano servire a far ripartire l’economia del Paese dopo la pandemia. Quei soldi che dovevano finanziare opere rispettose del principio Do no significant harm: non arrecare alcun danno all’ambiente. Quei soldi che, in buona parte, dovremo restituire.

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Sin dall’inizio, la scorsa estate, si è creato in città un movimento di persone contrarie al progetto di “rigenerazione” con la motosega. Per mesi hanno cercato il dialogo, con tutti i possibili mezzi civili e pacifici, poi, in assenza di ascolto, si sono rivolti alla Giustizia amministrativa. Il Tar di Trieste ha risposto con una sentenza favorevole al Comune in tutto e per tutto. Non è sembrato oggettivo, per i giudici, neanche che l’abbattimento di 47 alberi si traduca «nell’eliminazione di un polmone verde della città di Pordenone, ma è piuttosto l’ineludibile prezzo da pagare per la sua rigenerazione secondo standard evoluti di funzionalità e fruibilità e con l’adozione di misure volte al contenimento dell’impatto ambientale».

Non c’è stato il tempo di avere il parere del Consiglio di Stato. I tigli sono stati abbattuti in gran velocità, al riparo di un muro innalzato a protezione del cantiere con tanto di cartello: «Guardiania armata all’interno» e di spiegamento di forze dell’ordine. Un’immagine che rappresenta la negazione della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Ora che gli alberi sono stati rasi al suolo, resta la fede, direbbe Ulrich, nella bontà della battaglia a tutela di un bene comune, contro forze troppo grandi, contro un potere sordo e arrogante.

Restano la consapevolezza di aver fatto il possibile e l’impegno a continuare a costruire un movimento che crede in una città e in un’Italia diverse, attente all’ambiente e alle persone.

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